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GERUSALEMME LIBERATA

 

CANTO II

Al cospetto del sultano Aladino si presenta Ismeno, un mago dapprima cristiano ora convertitosi all’islam. Ismeno persuade Aladino a porre nella sua moschea un’icona della Madonna trafugata da una chiesa, garantendo che ciò renderà la città inespugnabile. Il giorno seguente si scopre che l’immagine è scomparsa- per il furto di un fedele o per opera divina?-: il sultano fa controllare tutte le chiese e le moschee ed impone delle dure pene per chiunque venga trovato in possesso del simulacro ma, non ottenendo risultati, decide di chiudere ogni  via di dialogo lasciata sino ad allora aperta per i cristiani di Gerusalemme e di vendicarsi dichiarando loro battaglia, anche a costo di far perire gli innocenti.

 

XII

Purchè ’l reo non si salvi, il giusto pèra
E l’innocente. Ma qual giusto io dico?
È colpevol ciascun, nè in loro schiera
Uom fu giammai del nostro nome amico.
S’anima v’è nel novo error sincera,
Basti a novella pena un fallo antico.
Su, su, fedeli miei, su via prendete
Le fiamme, e ’l ferro, ardete, ed uccidete.

 

I cristiani, impauriti, non osano scappare né invocare pietà. La salvezza giunge loro inaspettatamente attraverso una giovane donna coraggiosa e pietosa: Sofronia. La donna, seppure innocente, vince i suoi timori e va dal re, proclamando di aver catturato il ladro. Il sovrano, ammaliato ma non vinto dalla sua bellezza riservata e severa, le chiede chi sia il colpevole, e Sofronia gli risponde che lei stessa ha compiuto il furto dell’immagine sacra e l’ha bruciata affinchè non cadesse più in mano agli “infedeli”.  Aladino, furioso, la condanna al rogo.

 

XXV

Benchè nè furto è il mio, nè ladra io sono;
Giusto è ritor ciò ch’a gran torto è tolto.
Or questo udendo, in minaccevol suono
Freme il Tiranno; e ’l fren dell’ira è sciolto.
Non speri più di ritrovar perdono
Cor pudíco, alta mente, o nobil volto:
E indarno Amor, contra lo sdegno crudo,
Di sua vaga bellezza a lei fa scudo.

 

La notizia si sparge velocemente, e immediatamente il popolo giunge nel luogo del rogo. Olindo, un giovane innamorato di Sofronia, vedendo l’amata sulla pira si fa avanti e dichiara di essere lui il vero colpevole e dunque colui che deve essere punito. Il sovrano, che si sente preso in giro, ordina che si creda ad entrambi e che i due verranno bruciati insieme sul rogo. A salvare i due innocenti giunge però Clorinda, una donna straniera in armatura maschile, che viene riconosciuta grazie alla sua insegna, nota a tutti per la sua fama in guerra. La donna offre la sua gloriosa spada al re a patto che egli lasci liberi Sofronia e Olindo, da lei ritenuti innocenti: crede infatti che il furto sia stato operato da mano divina. Aladino acconsente, e Olindo e Sofronia, dopo essersi sposati, vengono mandati in esilio come tanti altri virtuosi cristiani. Intanto nel campo cristiano giungono due messaggeri dello schieramento egiziano: Alete ed Argante. Alete, con un mirabile discorso, propone un’ alleanza che però Goffredo non accetta.

 

LXXXVI

Ma quando di sua aíta ella ne privi
Per gli error nostri, o per giudícj occulti;
Chi fia di noi ch’esser sepolto schivi
Ove i membri di Dio fur già sepulti?
Noi morirem, nè invidia avremo ai vivi:
Noi morirem, ma non morremo inulti;
Nè l’Asia riderà di nostra sorte:
Nè pianta fia da noi la nostra morte.

 

Argante dichiara la guerra, e i due messaggeri vengono congedati con ricchi doni.

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