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GERUSALEMME LIBERATA

CANTO XIII

 

 

 

Dopo aver dato fuoco alle macchine d’assedio dei cristiani, il mago Ismeno escogita un piano per impedire loro di costruirne di nuove. I Crociati, infatti, per procurarsi la legna necessaria, ardiscono di violare la Selva di Saron, in cui nessuno di solito osa entrare perché si dice che è abitata dalle streghe. Giunto nella selva, Ismeno invoca alcuni demòni affinché la custodiscano. Fatto ciò, rientra a Gerusalemme per rassicurare il re Aladino, annunciandogli anche che, secondo quanto ha osservato nel cielo, il campo cristiano sarà ben presto colpito dalla siccità. Intanto, Goffredo invia una squadra di  fabbri nella selva per procurarsi la legna, ma questi fuggono a causa di uno strano timore. Vengono rimandati protetti da una scorta, ma fuggono nuovamente e, tornati all’accampamento, raccontano ciò che è successo. Lo spavaldo Alcasto annuncia temerariamente che proverà lui ad entrarci. Dopo che si è addentrato per un po’, però, all’improvviso si ritrova circondato da un immenso incendio popolato da creature infernali e, terrorizzato, scappa. Anche Tancredi, dopo aver seppellito Clorinda, entra nella selva e, superati gli ostacoli che avevano frenato gli altri, giunge in una radura al cui centro si trova un cipresso in cui sono incise varie iscrizioni che chiedono all’audace cavaliere giunto in quel luogo di andarsene per non turbare la quiete di coloro che sono morti. Tancredi, ignorando la richiesta, colpisce l’albero con la spada e dalla corteccia recisa cominciano a uscire sangue e la voce di Clorinda.


Pur tragge alfin la spada, e con gran forza
Percuote l’alta pianta. Oh maraviglia!
Manda fuor sangue la recisa scorza,
E fa la terra intorno a se vermiglia.
Tutto si raccapriccia, e pur rinforza
Il colpo, e ’l fin vederne ei si consiglia.
Allor, quasi di tomba, uscir ne sente
Un indistinto gemito dolente;

 

Che poi distinto in voci: Ahi troppo, disse,
M’hai tu, Tancredi, offeso: or tanto basti.
Tu dal corpo, che meco e per me visse,
Felice albergo già, mi discacciasti:
Perchè il misero tronco, a cui m’affisse
Il mio duro destino, anco mi guasti?
Dopo la morte gli avversarj tuoi,
Crudel, ne’ lor sepolcri offender vuoi.

 

Clorinda fui: nè sol quì spirto umano
Albergo in questa pianta rozza e dura:
Ma ciascun altro ancor, Franco o Pagano,
Che lassi i membri a piè dell’alte mura,
Astretto è quì, da novo incanto e strano,
Non so, s’io dica in corpo, o in sepoltura.
Son di senso animati i rami e i tronchi,
E micidial sei tu, se legno tronchi.

 

Tancredi resta talmente sconvolto al sentire la voce dell’amata che fugge. Tornato al campo, racconta ciò che è successo a Goffredo, che decide di andare egli stesso nella selva. Viene però dissuaso da Pietro l’Eremita che annuncia che manca poco alla presa di Gerusalemme. Poco dopo, però, l’accampamento viene colpito dalla tremenda siccità che era stata prevista da Ismeno e i guerrieri cristiani cadono nello sconforto interpretando la siccità come una punizione divina per l’eccessiva sete di potere di Goffredo. Alcuni, seguendo il comandante dei Greci Tatino, abbandonano l’accampamento durante la notte.

Goffredo, saputo ciò, prega Dio affinché ponga fine alla siccità. Ascoltata la preghiera, Dio decide di cambiare le sorti della guerra a favore dei suoi fedeli, mandando sull’accampamento una pioggia abbondante.

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